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Lo sbarco dei manga in Italia (da Il Manga, ed. Tunué)

9 anni ago written by
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Pubblichiamo un estratto della prefazione di Marco Pellitteri al saggio “IlManga” di Jean-Marie Bouissou, edito da Tunué e presentato a Lucca Comics 2011: una utile contestualizzazione di come il fumetto giapponese abbia “invaso” la penisola.

Il fumetto nipponico è un tema che per vari motivi può avere ancor oggi bisogno di un po’ di contestualizzazione e di essere messo in relazione ad alcuni eventi e argomenti con esso in stretta comunicazione.

Il manga ha la sua storia, ma anche la sua geografia e sociologia

il-mangaI manga, contrariamente a quanto si pensa in genere, non sono arrivati in Italia nel 1990 ma assai prima. Al di là di una manciata di pagine di un vecchio titolo degli anni Trenta, Son-Goku diShifumiYamane, proposte in un libro del 1962 curato da François Caradec ed edito da Garzanti, I primi eroi. Antologia storica del fumetto mondiale– una raccolta di avventure di personaggi delle strisce di tutto il mondo, con la prestigiosa prefazione di René Clair… – il primo vero avvento dei manga in Italia si consumò dai tardi anni Settanta, con diversi titoli pubblicati su varie riviste. Ne parliamo in seguito. La prima ragione per cui i manga sono giunti trionfalmente non solo in Italia ma anche in Francia, in Spagna, negli Stati Uniti e in vari altri paesi (per esempio centro- e sudamericani) risiede nel grande successo delle loro trasposizioni televisive in animazione, i cosiddetti anime.

In principio, più della carta poté l’antenna

Dalla seconda metà degli anni Settanta i funzionari delle reti televisive italiane, sia della Rai sia di quelle private, cominciarono a saccheggiare i magazzini degli studi di produzione giapponesi di disegni animati. In quel periodo vi fu una convergenza di fattori che portarono alla popolarità dei disegni animati nipponici e, di conseguenza, dei loro personaggi, nati in origine dalle versioni a fumetti; in base a tale popolarità televisiva anche alcune di quelle versioni originali a fumetti vennero presto pubblicate. Questi i fattori concomitanti.

Sul versante internazionale e giapponese:

  • negli anni Settanta il valore dello yen veniva mantenuto artificiosamente molto basso e il costo della manodopera nipponica era assai conveniente, il che rendeva altamente competitivi i prezzi dei prodotti della cosiddettacontentindustrydell’Arcipelago.
  • I disegni animati giapponesi si erano già da tempo espansi in altri paesi asiatici e alcune serie avevano riscosso, fin dal 1963, un interessante successo negli Stati Uniti.
  • Le condizioni favorevoli di produzione d’animazione a basso costo, a partire dalla metà degli anni Settanta, portarono alcune aziende di produzione e case editrici tedesche, olandesi, francesi e di altri paesi (Taurus Film, BasteiVerlag, München Merchandising, Polyscope e altre) a coprodurre serie e film con studi di produzione giapponesi, i quali a loro volta si accorsero che evidentemente in Europa c’era un mercato ricettivo.

Sul versante italiano:

  • la televisione era divenuta, in Italia, il medium di massa per eccellenza e una nuova generazione di bambini «nativi televisivi» – cioè che nella loro infanzia si ritrovavano con un sistema televisivo già fornito dei tre canali Rai e di svariate emittenti private che trasmettevano dalla mattina alla sera – vi crebbe a strettissimo contatto.
  • La letteratura per ragazzi e i fumetti per bambini, a partire da quegli anni, dovettero affrontare una forte crisi dovuta proprio all’«invadenza» della televisione. Questa, d’altro canto, non offriva al pubblico dei più giovani la medesima varietà di scenari, personaggi e profondità narrativa dei dispositivi dell’immaginario a mezzo stampa (romanzi, libri illustrati, fumetti), oscillando solo fra vecchi telefilm in bianco e nero di provenienza americana o britannica e un’animazione «classica», sempre o quasi statunitense, basata pressoché solo sui registri comici o su di un’avventura assai blanda.
  • L’etere italiano si rivelò una terra da conquistare per le miriadi di antenne private nate come funghi dopo la pioggia, molte delle quali con pochi soldi ma in grado di trasmettere grazie alla liberalizzazione delle frequenze avvenuta con la nota Sentenza 202 del 1976. Budget di produzione limitati, scarsa fantasia, professionalità e competenze in fase di avvio da parte delle nuove emittenti private resero una scelta quasi obbligata (o comunque facile, se non facilona) l’acquisto di prodotti televisivi a basso costo. Si trattava da un lato delle telenovelas sudamericane e dall’altro, appunto, delle serie tv giapponesi ; era stata la Rai, del resto, a dare il via a questa tendenza con i primi acquisti di serie di produzione giapponese, qualiBarbapapàVicky il vichingoHeidiAtlas Ufo RobotCapitan Harlock e altre, dal 1976 in poi.
  • In quegli anni anche in Italia, come in altri paesi occidentali, la struttura famigliare tradizionale cedeva sempre di più il passo al modello nucleare bigenerazionale (genitori e figli, senza nonni in casa) e molte madri cominciarono a lavorare fuori; moltissimi bambini in tutto il paese si ritrovarono a rimanere per varie ore pomeridiane soli in casa, trovando nella televisione e nelle nuove storie animate di origine giapponese appena giunte una valida compagnia dall’intensa capacità affabulatoria.

Quella che ancor oggi viene chiamata in modo mistificatorio «l’invasione dei cartoni giapponesi», ovvero la trasmissione indiscriminata di un numero esorbitante di queste serie da parte di un po’ tutte le emittenti italiane, regionali, provinciali, a tutte le ore del giorno, fu un fenomeno provocato insomma da una congerie di curiose circostanze di tipo commerciale, industriale, legislativo, sociale e relative ai flussi internazionali dei prodotti culturali.

I manga in Italia: primo contatto

Sia come sia, l’immensa popolarità riscossa da questi anime, il nome con cui i giapponesi chiamano i disegni animati, abbreviazione tutta nipponica del termine inglese animation (in Occidente lo si sarebbe scoperto anni dopo), portò ben presto le case editrici italiane dal fiuto più sottile a cavalcare l’onda, o almeno a cercare di farlo, pubblicando alcuni manga che di quegli anime costituivano la versione primigenia, cartacea. Esatto: quasi tutti i disegni animati che andavano in onda in televisione allora e che vanno in onda oggi sono trasposizioni di storie nate come fumetti. Editori come Mondadori, Fabbri, Rizzoli, Rai-Eri, Giunti Marzocco, Crespi, Salani e altri minori (Domus, Ediboy, Edierre, Edizioni Tv Milano, Epierre, Flash) nel 1979 cominciarono, e lo fecero fino a oltre metà degli anni Ottanta, a pubblicare libri illustrati, riviste a fumetti e albi monografici incentrati sui nippo-eroi televisivi: il Grande Mazinga, Mazinga Z, Goldrake, Candy Candy, Lady Oscar, Capitan Harlock, Mila e Shiro e molti altri . L’atteggiamento e gli esiti di tali operazioni non furono dissimili da quelli che stavano caratterizzando l’ambito televisivo: approssimazione e incomprensione della varietà, ricchezza e complessità dei prodotti originali; tentativo di sfruttare il successo dei personaggi giapponesi con pubblicazioni spesso poco curate e a volte senza regolari licenze; molti fumetti erano scritti e disegnati (di malavoglia) da autori spagnoli e italiani, con trame inventate e che spesso si allontanavano in modo sensibile dai canovacci che i bambini si sarebbero attesi, ben abituati alle trame avvincenti della tv.

Ciò nonostante, la potenza narratologica, visiva ed emotiva degli anime e così anche di quei pochi manga originali pubblicati – benché, proprio come nel caso dei disegni animati, con numerosi riadattamenti formali e di contenuto e censure a volte oltre la soglia del gratuito – dagli editori Fabbri, Mondadori, Crespi e Rizzoli, fu tale che il manga, nella sua prima fase italiana, fece la felicità di quanti si cimentarono nella loro pubblicazione, con vendite da capogiro e un rimarchevole indotto relativo ai prodotti derivati, come bambolotti, pupazzi, giocattoli trasformabili, cancelleria, abbigliamento, beni alimentari e quant’altro.

Nell’esplosione incontrollabile del successo degli anime in Italia (non solo le serie in televisione ma una valanga di applicazioni commerciali) e del concomitante sviluppo delle riviste incentrate su quei personaggi con la pubblicazione di diversi titoli originali, tutti a destinazione infantile e adolescenziale, un’eccezione si distinse e fu Eureka, una rivista per amatori del fumetto diretta da Alfredo Castelli e Silver. Eureka pubblicò, in alcuni numeri a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, una manciata di episodi di manga «seri», per adulti, quali Black Jack di OsamuTezuka o Golgo 13 di TakaoSaitô . Fu quello il primo vero impatto dei lettori italiani con dei manga di maggiore intensità artistica, ma non ebbe seguito e ripeté una storia simile a quella avvenuta negli stessi anni in Svizzera, il secondo paese europeo nel quale si pubblicarono manga: la rivista Le cri qui tue, ideata e diretta a partire dal 1978 dall’appassionato nippo-elvetico AtossTakemoto, pubblicò per i suoi pochi numeri di vita vari fumetti giapponesi di notevole spessore, ma per ragioni legali dovette chiudere .

Anni Novanta: la febbre dei manga colpisce lo Stivale e l’Esagono

mangaE si arriva così al 1990. L’anno dal quale una dinamica che covava da almeno un decennio esplode in tutta la sua potenza «anagrafica». Anche ora una serie di concomitanze determina il rinnovato e definitivo successo del manga in Italia e, con dinamiche simili, in Francia.

  • Una generazione di ex bambini, spettatori originari delle serie giapponesi in tv ed ex lettori delle riviste dedicate ai loro eroi, nel ’90 ha raggiunto la fase della tarda adolescenza o della prima giovinezza, maturando un suo potere d’acquisto.
  • Da alcuni anni numerose polemiche contro gli anime ne hanno limitato l’apparizione televisiva sulle grandi emittenti nazionali (in Italia, Rai e Fininvest; in Francia, in particolare France Télévision e Antenne 2), benché in Italia le repliche e diverse nuove serie siano sempre presenti in molti canali nazionali secondari (Telemontecarlo, Odeon, Italia Sette, Junior Tv) e regionali (fra i tantissimi, Super Tre, Telenova ecc.). In Francia la situazione è ancor più complessa, perché dal 1990 una legge assai restrittiva sull’emittenza vieta la messa in onda di prodotti televisivi non europei oltre una certa quota; ma ciò favorisce, più che in Italia, sia la nascita di ottime riviste professionali sui manga e gli anime, sia un maggiore sviluppo del mercato delle edizioni degli anime in vhs e dvd, sia, infine, un precoce arrivo di molti capolavori del cinema d’animazione giapponese nelle sale, grazie anche a una più diffusa e matura cultura del cinema.
  • La domanda di eroi giapponesi e la nostalgia per essi rimane forte e si sviluppano le prime riviste amatoriali, ideate e prodotte da gruppi spontanei di ragazzi e ragazze.
  • Alcuni editori lungimiranti, come Glénat in Francia (con la sua filiale Glénat Italia) e Granata Press e poi Star Comics in Italia, decidono per primi di pubblicare manga con una nuova mentalità: non più per un pubblico di bambini ma per adolescenti e giovani adulti, e non più in modo approssimativo ma con il rispetto delle opere originali, grazie alla collaborazione di alcuni competenti appassionati, facenti precisamente parte di quella generazione di ex bambini e telespettatori ora divenuti giovani adulti.

È il delirio. Il manga diventa in Italia il più venduto tipo di fumetto, se si escludono le principali collane della Bonelli (TexDylan Dog e qualche altra) e della Disney (Topolino e forse iClassici); nel corso degli anni raggiungerà ottime vette anche in Francia, nonché in altri paesi, come la Spagna e la Germania. Per quanto riguarda, in particolare, l’Italia, il manga diventa in buona sostanza il terzo polo del fumetto, scalzando dal podio, per la verità con ben poco sforzo, il genere dei supereroi americani tutti muscoli e battute roboanti. Nei manga d’azione si parla poco e i protagonisti sono spesso efebici; e quelli sentimentali, per quanto kitsch possano sembrare, hanno un successo senza precedenti perché parlano alle ragazze, un pubblico quasi del tutto ignorato dal mondo del fumetto occidentale, il quale per qualche oscura ragione sembra pensare che le giovinette non esistano, come lettrici di fumetti.

Come Bouissou spiega nel libro, i manga si legano un po’ in tutto il mondo al loro pubblico anche in base a una questione di identità culturale e di «distinzione» nei gusti e nelle pratiche, per riprendere la classica definizione di Pierre Bourdieu . Avversati fin da subito dagli adulti esattamente come, anni prima, era toccato ai disegni animati nipponici, in base alle medesime argomentazioni e agli stessi pregiudizi ufficialmente afferenti alle questioni estetico-pedagogiche ma sovente sfocianti in un razzismo inconsapevole, i manga si sono conquistati con gli anni un posto più rispettabile nel mondo della cultura popolare e molti settori istituzionali guardano a essi con maggiore curiosità. Fra questi, per esempio, gli operatori delle biblioteche pubbliche e molti insegnanti scolastici, che negli ultimi anni si sono dimostrati intelligentemente ricettivi sui fumetti e sui manga, se non altro per il fatto che proprio perché piacciono ai ragazzi vanno tenuti da conto come letture, esattamente come accade a libri quali quelli di genere fantastico e horror adolescenziale (Harry Potter, Twilight ecc.), in apparenza lievi ma spesso forieri di significati e valori degni di apprezzamento.

Manga e jazz L’ultima osservazione parte da una nota magari banale, ma necessaria: il termine «manga» designa in Giappone i fumetti,tutti i fumetti, non solo quelli giapponesi; esattamente come per noi il termine «fumetti» può designare quelli italiani, francesi, americani ecc. È però curioso osservare che se in Italia da anni il vocabolo «comics» può indicare anche fumetti realizzati in ambienti extra-anglofoni, in qualità di termine onnicomprensivo, non è così per la parola manga, la quale invece è per noi fortemente collocata nel contesto della sola produzione fumettistica nipponica. Negli ultimi anni sempre più autori non giapponesi (tedeschi, francesi, italiani, statunitensi…) realizzano fumetti alla maniera dei manga, in alcuni casi così vicini agli stili e alle suggestioni di quelli giapponesi che forse ha sempre meno senso ritenere, come in genere si fa ancora dalle nostre parti, che un manga sia tale solo se realizzato in Giappone da autori giapponesi. E se si è arrivati a questo punto nella penetrazione culturale delle estetiche dei manga in Occidente, forse è anche il caso di notare che negli scorsi anni e decenni si è consumata una dinamica transculturale che ha portato a un assorbimento «viscerale» dei mondi del manga da parte di due o tre generazioni di lettori (e autori…) di fumetti. Ecco, questo è un ultimo punto di estremo interesse: il tema dell’«autenticità» dei manga sotto il profilo della produzione nazionale rispetto a quella internazionale. Ed è un po’ come discutere dell’espansione del jazz: un conto è la scintilla originaria del jazz, gli schiavi neri nel Sud degli Stati Uniti agli inizi del xx secolo, e un conto è oggi cercare di sostenere che Gato Barbieri (argentino) o Stefano Bollani (italiano) non siano jazzisti perché non sono né neri, né schiavi, né statunitensi…

Patrizio Della Porta

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